Un vecchio detto recita: “quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare”. Potremmo fare una trasposizione della metafora dicendo che quando la situazione si complica e diviene grave i “pezzi grossi” tirano fuori “l’artiglieria pesante”.
Ieri lo hanno fatto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella dal quirinale e il Papa dal Vaticano.
Il nostro presidente, pacatamente, com’è nel suo stile, come è giusto e come c’era da aspettarselo, ha tenuto un discorso sentito breve e intenso, in cui ha espresso un pensiero verso tutti i cittadini e verso ogni categoria di lavoratori e operatori coinvolti nell’affrontare l’emergenza.
In un passaggio molto importante del discorso ha ricordato che:
“Il senso di responsabilità dei cittadini è la risorsa più importante su cui può contare uno Stato democratico in momenti come quello che stiamo vivendo”.
Quindi, ha – laicamente – richiamato ciascuno alla solidarietà, all’unità e alla dedizione al “comune interesse”. Senza risparmiare una stoccata elegante, ma necessaria, nei confronti del “consiglio dei capi dei governi nazionali” europei che hanno mostrato di essere in preoccupante ritardo nel comprendere, affrontare e governare l’emergenza determinata dall’epidemia.
Non possiamo che ringraziare il presidente Mattarella.
L’altro pezzo grosso che ha parlato ieri è stato Papa Francesco. La sua “solitudine”, la pioggia, il crepuscolo e poi la notte e piazza san Pietro deserta hanno aggiunto drammaticità e solennità al momento davvero significativo.
Non mi soffermerò sulla questione dell’indulgenza plenaria concessa a chiunque: “credenti e non credenti che, perché sia efficace, basta averla desiderata” (così, almeno l’ha capita la giornalista Antonietta Calabrò!).
Un duro colpo per chi ha sperato contro speranza che, a cinquecento anni di distanza dalle novantacinque tesi di Lutero, la chiesa di Roma avesse cambiato almeno qualche virgola circa la remissione “delle pene” dei peccati commessi! E un’ulteriore occasione per un santo sussulto per chi ha pregato e desiderato che il cattolicesimo romano, una volta per sempre, la smettesse di sminuire il sacrificio di Cristo! Eppure, abbiamo avuto ancora una volta la riprova che il papa, nonostante l’esposizione di antichi e nuovi crocifissi, continua a degradare il sacrificio della croce considerandolo un mero atto amministrativo che necessita dell’imprimatur ecclesiastico affinché sia efficace. E qui mi taccio.
Ma voglio soffermarmi solo un po’ su un’altra parte della liturgia papale di ieri: la sua omelia sul famoso passo della tempesta sedata da Cristo.
L’ho letta con attenzione e il primo pensiero è stato: «Finalmente un discorso che tocca i punti giusti!». E l’essermi ritrovato in una certa sintonia col papa ha stupito perfino me stesso!
Ma i primi pensieri non sono sempre i migliori. Spesso sono istintivi, una risposta emotiva che necessita di una più seria e profonda elaborazione.
Quindi, ecco quale è stato il mio secondo pensiero… e poi tutti quelli che mi hanno portato a scrivere questo post.
Prima di tutto mi sono reso conto che, quando ci si trova al cospetto di un evento livellatore, qualcosa che riguarda la comune natura umana e l’esperienza umana, si comincia a pensare tutti allo stesso modo e, necessariamente, ci si ritrova a parlare lo stesso linguaggio, perché sono le esigenze primarie a parlare, e quelle sono comuni.
In secondo luogo, si realizza quale meraviglioso tesoro letterario (oltre che storico) siano i Vangeli e come il messaggio che ci comunicano sia semplice e diretto. L’Evangelo, nella sua essenzialità, è alla portata di tutti, perfino di coloro che, a causa di pregiudizi e sovrastrutture lo negano in mille modi. Un laico onesto, un protestante e un papa che si accostano rispettosamente al testo, in un passo come quello, possono trovarsi d’accordo su molte cose. La verità grida e, sebbene gli uomini non abbiano ancora smesso di cercare di soffocarla, tacitarla e corromperla, possiede una forza intrinseca che riemerge sempre e dovunque lanciando i suoi appelli anche in modi inusuali, da persone improbabili e da luoghi insoliti.
In terzo luogo, con rammarico, riflettendo, mi sono reso conto di quanto sia vero il detto che “il Diavolo si nasconde nei dettagli” e che la sua strategia è quella di occultare le grosse menzogne rivestendole con una scorza di verità.
La verità riguarda delle bellissime affermazioni sulla fede (“Che non è tanto credere che Tu esista, ma venire a Te e fidarsi di Te”), o sul valore del sacrificio di Cristo e della croce (“Abbiamo un’ancora: nella sua croce siamo stati salvati. Abbiamo un timone: nella sua croce siamo stati riscattati. Abbiamo una speranza: nella sua croce siamo stati risanati e abbracciati affinché niente e nessuno ci separi dal suo amore redentore”), come altri passi molto significativi ed eloquenti.
Ma la menzogna sta principalmente nella mancanza di chiarezza che è il mezzo più adatto ad alimentare le false speranze.
A chi ha parlato il papa? A tutti coloro che lo stavano ascoltando? Ai soli cattolici? Al mondo intero, perfino ad atei o a credenti non cattolici? Ai discepoli di Cristo impauriti dalla tempesta, oppure a tutti coloro che – oggi – sono impauriti dall’epidemia?
Rispondere a queste domande non è cosa da poco perché sono solo i malati coloro che hanno bisogno del medico, ma non tutti i malati sanno di esserlo e non tutti i malati sanno da quale malattia devono essere curati.
Se solo Francesco fosse stato un po’ più chiaro, sarebbe stato infinitamente più utile.
Farà del bene l’omelia del papa?
Dio è potente da usare qualsiasi mezzo e strumento per fare il bene agli uomini. Ma purtroppo, checché se ne voglia dire, Francesco è un cattolico romano al 100%, e il problema del cattolicesimo romano sono i fondamentali, esattamente quelli dai quali egli non si discosta nemmeno di un millimetro!
Tutta l’umanità è sulla barca del giudizio di Dio e tutta l’umanità si trova nella tempesta, ma le parole e le azioni di Cristo (come anche la sua preghiera e il suo sacrificio) non sono per tutta l’umanità.
Delle parole che Gesù pronunciò quella notte possono appropriarsene, per mezzo della fede, soltanto i suoi discepoli impauriti e nessun altro al di fuori di loro.
Per gli altri rimane l’invito ad andare a lui, pentiti, umiliati, confessando il proprio peccato e con la speranza di essere accolti dal Padre e rigenerati dallo Spirito. Per gli altri non c’è il conforto del «Non temere», ma la domanda: «Non hai nemmeno timor di Dio, tu che ti trovi nel medesimo supplizio?» (Cfr. Luca 23:40).
La risposta di Cristo alla supplica dei suoi discepoli, oggi come allora, potrà anche essere quella di calmare questa tempesta per tutti (come accadde con il mare e il vento che si chetarono anche per altre barche che potevano essere sul lago, in quella notte). Ma solo i discepoli di Cristo beneficiarono della sua rivelazione, solo loro si resero conto di chi fosse davvero Colui che dormiva nella loro barca e soltanto loro seppero davvero a chi attribuire il miracolo.
Solo i discepoli, dopo la tempesta, conobbero meglio Gesù, e così sarà anche in questa tempesta.