Qualcuno potrebbe considerare un ossimoro, una contraddizione nei termini, il titolo di questa riflessione sui proponimenti di Jonathan Edwards.
Ancora prima di iniziare intendo chiarire che quello che dirò non ha nulla a che fare con il presunto o il millantato sentimento di “amore” di chi considera gli altri come qualcosa qualcosa che gli appartiene ed è disposto/a a usare la violenza per poterne mantenere il possesso.
Piuttosto mi riferisco al contenuto del tredicesimo proponimento di Jonathan Edwards che è:
«Mi propongo di cercare e trovare delle opportunità per fare del bene ed essere generoso».
Nessuno nasce “cristiano” e per divenire figli di Dio bisogna essere generati da lui. L’apostolo Giovanni insegna che figli di Dio si diventa ricevendo Cristo mediante la fede, ovvero: credendo nel suo nome, e che questa “adozione” è una “nascita da Dio”, il frutto della sua volontà sovrana e benevola (Gv. 1:12-13). La buona e amorevole volontà di Dio che ci ha “rigenerati” diviene il principio operativo di ogni credente, di ogni figlio di Dio.
Come siamo stati generati dai nostri genitori umani senza il concorso della nostra volontà, così siamo stati rigenerati da Dio quando non potevamo e non volevamo “venire alla luce” del suo regno (Gv. 3:20). La nostra passività nella rigenerazione è paragonabile a quella di Lazzaro nella tomba che venne riportato alla vita dal potente comando di Colui che è la risurrezione e la vita (Gv. 11:43). La condizione del peccatore prima di ricevere la grazia di Dio, infatti, è paragonata dall’apostolo Paolo a quella di un “morto” (Ef. 2:5).
Ma, se nella rigenerazione siamo assolutamente passivi, per vivere pienamente la vita cristiana bisogna essere risolutamente e fortemente attivi. Anzi, animati dalla grazia di Dio, dovremo manifestare un “amore aggressivo” nei confronti del nostro prossimo, essere sempre alla ricerca di nuove occasioni e di nuovi modi per fare il bene e affaticarci più degli altri in virtù della potenza che opera in noi.
Il sentiero dello sviamento ha varie tappe intermedie ed è una “spirale discendente” dalla debolezza al disinteresse, dal disinteresse alla noia, dalla noia all’apatia, dall’apatia al disgusto nei confronti del bene e dal disgusto del bene fino all’odio della verità che porta dritti nel precipizio dell’apostasia.
Diversamente, la via stretta della santificazione è, allo stesso modo, “una spirale” ma ascendente che – nonostante le nostre debolezze – ci fa procedere “di forza in forza” fino a farci comparire in Sion (Sal. 84:7)
Per andare verso l’alto, contro la gravità e contro la naturale decadenza e corruzione, è necessaria una forza extra nos che genera la ferma determinazione a “cercare e trovare delle opportunità per fare del bene ed essere generosi”
È proprio a questo livello che molti di noi vengono meno. Consideriamo la santificazione in modo negativo definendola come un “astenersi dal male” oppure il “non praticare alcun atto peccaminoso” e, siccome nessuno di noi ci riesce, consideriamo la confessione del peccato come il “chiedere perdono per i pensieri, le parole, le azioni che non sono conformi alla volontà di Dio”. Dimentichiamo però che la santificazione ha un aspetto positivo che è quello di offrire le nostre membra come strumenti per “praticare la giustizia” e di “fare agli altri quello che vorremmo che gli altri facciano a noi” (Ro. 6:12-13; Mt. 7:12).
Vista così, la misura della nostra santificazione non sarà determinata solo dalle cose che non facciamo, ma anche da quelle che facciamo, mentre la confessione del peccato dovrà considerare anche le nostre molte omissioni (il bene che rimane incompiuto, i doveri non praticati).
Edwards, appena ventenne, aveva riflettuto su tutto ciò e volle riproporsi di agire secondo la volontà di Dio non soltanto rimanendo attento e cogliendo ogni opportunità di fare il bene e di essere generoso, ma intese andare ben oltre quello che, nel corso normale della vita e della provvidenza, gli si presentava come un’occasione di fare il bene.
Egli prese la ferma determinazione di porsi alla ricerca di occasioni per esercitare la benignità e la generosità.
Non avrebbe negato un aiuto spirituale o economico e chi glielo avesse chiesto e non avrebbe presentato delle scuse del tipo: «adesso sono occupato, fissiamo un appuntamento per la prossima settimana» o cose del genere, ma si sarebbe messo alla ricerca di chi si trovasse nel bisogno e, con la stessa cura di chi scruta nella profondità del corpo e dell’anima per trovare il minimo segno di sofferenza e di malattia, avrebbe osservato il suo prossimo per scoprirne le lacune allo scopo di colmarle e le cause della sofferenza per fare del bene, alleviarne il dolore e soddisfarne i bisogni.
Egli si propose di farlo continuamente, in modo sistematico, e per farlo avrebbe tenuto gli occhi aperti, avrebbe posto delle domande e non si sarebbe fermato al cospetto di una risposta dignitosamente evasiva. La sua determinazione di amare il prossimo non era né debole né timida, ma forte e aggressiva. È questo l’amore aggressivo a cui mi riferisco nel titolo.
C’è una violenza che è esecrabile, ma c’è anche una timidezza che è peccaminosa. C’è un’indifferenza nei confronti dei mali altrui che è crudele e malvagia e c’è una passività e una rassegnazione a mantenere lo status quo che è assolutamente indegna ed estranea al carattere cristiano.
Non basta “non odiare” bisogna amare e amare autenticamente.
Tanto.
Perfino aggressivamente!